REQUIEM

Castello arcivescovile di Argenta, fine luglio 1321

Caro Dante, è bello rivedervi. Scusate se parlo con difficoltà, ma ormai mi appresto ad incontrare il mio Creatore.

Non dite così eccellenza, siete ancora un uomo vigoroso e ben portate i vostri anni.

Le parole di Dante contraddicono la realtà. Rinaldo è smagrito, il respiro è affannoso, la parola flebile. Sta seduto, per quanto possibile nel letto, per respirare meglio. Dietro alla sua schiena 3-4 cuscini per sostenerlo.

Del resto Dante non sembra stare molto meglio: zoppica in maniera più evidente, è pallido e debole, quando cammina deve fermarsi dopo pochi passi, non ha abbastanza fiato.

Neppure voi mi sembrate in grande forma.

Quella maledetta ambasceria a Venezia. Non si è concluso nulla ma, forse, sono malato di malaria. Me lo sentivo. Abbiamo fatto un percorso troppo veloce che tagliava le paludi. Sarebbero bastati pochi giorni in più, magari passando per Verona e Padova. E poi, a Venezia, il Doge non ci ha neppure ricevuti. Una pessima figura per Ravenna, considerata non degna di trattare con la potenza veneziana e per me, che non ho ricevuto alcun  segno di rispetto, come fossi un qualunque ambasciatore. Mai così bistrattato! Mille volte meglio essere temuto, offeso, ma mai ignorato. Non vedo un futuro roseo per Ravenna se i Veneziani perseverano nel loro intento di guerra. L’alleanza fra Veneziani, che calerebbero dal mare e da nord, Forlivesi e Riminesi da sud sarebbe un bel problema. Guido deve sperare nell’intervento di Bologna e, forse, delle città lombarde che vedrebbero di malocchio Venezia espandersi su tutta la riva adriatica. Il nemico del mio nemico è il mio amico… Ravenna deve sperare che la sua debolezza torni comoda a tanti e che venga considerato un fattore di equilibrio, magari un poco troppo vivace, in un più complesso gioco. Per il momento questa è solo una speranza. Vedremo gli eventi o, almeno, chi vivrà vedrà.

Io, comunque, se non vengo ammazzato dalla malaria vengo ammazzato da Guido Novello e i suoi cortigiani.

Non comprendo….

Mi obbligano, in cambio di vitto ed alloggio per me e per i miei figli, ad insegnare loro a poetare. Ma la poesia devi averla dentro di te; compongono cose così bislacche e sgraziate che mi strappano le viscere e devo sorridere; gli ficcherei la penna d’oca nel gargarozzo ma devo sorridere…  Comunque parlavamo di questa povera e disgraziata Ravenna….

Certo, Ravenna è messa male non solo dal punto di vista diplomatico. Le casse della città sono vuote; recentemente ho dovuto attingere al mio patrimonio privato affinché Ravenna avesse abbastanza metallo per poter battere moneta. Abbiamo avuto l’epidemia di peste cinque anni fa, da allora l’economia non si è più ripresa. Lo stesso è successo in tutta l’Italia a nord degli Appennini, ma le altre città, seppure con fatica, hanno ricominciato a vivere. Solo Ravenna, che già aveva grandi problemi dovute alle continue guerre con le altre città romagnole, stenta. Già nel 1303, quando arrivai qui, trovai una situazione difficile: per rendere fruibile il duomo di Ravenna lo restaurai in larga parte a mie spese. Solo la piccola chiesa di Santa Chiara fu costruita dai Da Polenta.

Quindi voi, eccellenza, avete utilizzato i vostri beni per aiutare Ravenna?

Questa, ormai, è la mia città. Non credo che il sudario abbia molte tasche, o che io possa modificare con l’oro il giudizio divino. Ormai mi resta poco vivere e non vedo Milano o Roma da tempo e so che non le rivedrò più. Lo stesso vale per i parenti. Insomma, alla fine, i miei parenti sono i Ravennati. Unica angoscia prima di incontrare il mio Creatore: la mia biblioteca . Si tratta di testi giuridici e religiosi, una raccolta unica, che ho arricchito nel corso degli anni. Temo che dopo la mia morte vada dispersa. Questo, vedi, mi tormenta, non sapere che fine faranno i miei libri. Per il resto, sono pronto. Muoio senza rimpianti ma, come ogni uomo, temo il giudizio divino. Ho peccato di superbia quando ho scelto di contrappormi al Papa; se avessi accettato di ripetere il processo ai Templari forse costoro non sarebbero mai stati condannati da un altro tribunale. Di questo temo che Dio mi renda conto. Del resto, parlando di Ravenna, fra poco è la festa di San Lorenzo, che mostrò i poveri al prefetto romano quale bene della Chiesa. Io presenterò a Dio le mie opere in favore dei poveri, spero ne tenga conto. Comunque io non credo di arrivare vivo alla festa di San Lorenzo, ad ogni respiro sento fuggire la vita.

Anch’io eccellenza, non temo la morte del corpo, ma quella dell’anima. Soffro troppo; sono vecchio, non vecchio quanto voi, ma vecchio. So che morirò presto, il freddo è dentro le mie ossa.

Ma voi il posto in cielo ve lo siete già prenotato, se ho ben letto. E, dato che la modestia è il vostro forte, in Paradiso!

Eccellenza, non fatevi gioco di me; secondo voi ad un uomo al quale è stato concesso il privilegio di conoscere il mondo ultramondano nelle sue tre divisioni si può riservare  meno del Paradiso? In ogni caso: “la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”.

Vero, caro Dante, io so di essere un grande peccatore, ma Cristo è un salvatore ancora più grande. Ma ora vi congedo, scusate, sono troppo stanco. Dimenticavo: “fecemi Siena, disfecemi Maremma”, ma, per noi, “disfecemi Ravenna”.

Rinaldo accenna una risata che finisce in tosse convulsa. Dante si ritira, lentamente. Si avvicina alla finestra.

Le ombre della sera si allungano e il cielo è ormai scuro verso il mare. Dante guarda verso l’alto.

“E fora uscimmo a riveder le stelle”.