MYSTERIUM SEMPLICITATIS

Castello di Argenta. Giugno 1321

Caro Dante, ritornate a salutarmi! Apprezzo molto che siate tornato. Alla buonora! Vi aspettavo due anni fa!

Invero, come ebbi modo di dirvi, dovevo andare in ambascieria a Venezia per conto dei Da Polenta.

I tempi si sono allungati per le continue dilazioni; sembrava che si fosse sempre vicini alla pace poi tutto tornava in alto mare. Inviare un’ambascieria non è uno scherzo; è comunque un atto di sottomissione perchè tu, debole, vai a rendere in qualche modo omaggio ad uno che riconosci più fotte di te

Tutta l’Italia, ormai, è un campo di battaglia e alleanze si fanno e si disfano in continuazione; adesso i Veneziani sembrano in grado di allearsi con gli Ordelaffi ed i riminesi, così da riuscire a stritolare Ravenna e le sue pretese sul controllo del commercio del sale.

Viviamo tempi difficili, troppe forze si contrappongono e dispero sempre di più che l’Italia possiamo avere la pace, magari sotto la guida di un condottiero illuminato…

Ti riferisci a Enrico VII di Lussemburgo? Non mi sembra che, oltre morire in Italia, abbia fatto qualcosa per questo paese. Voleva indebolire il potere della chiesa per rafforzare quello imperiale, ma tutto è finite con la sua morte. Non si può costruire un castello sulla sabbia,

E poi, te lo do come consiglio, non continuare a teorizzare il potere dell’impero in contrapposizione a quello del Papa; hai tirato un po’ troppo la corda, come dicono da queste parti, con quello stravagante testo conosciuto come “De monarchia”. Siate più prudente in future. E’ il consiglio non solo dell’arcivescovo, ma anche dell’amico.

Avete ragione, sono troppo avventato. Farò tesoro delle vostre parole. Solo, voglio spiegare, non sono contro la Chiesa, sono contro la Chiesa che vive per il potere e non guarda ai poveri. Gesù, nella sua vita terrena, era il figlio di un falegname, non di un ricco proprietario terriero.

State attento a come parlate e scrivete; io posso dire cose anche sgradevoli, ma per la mia funzione sono relativamente al sicuro. Tu, invece, sei in balia di tutti. Pensa solo se l’inquisizione decidesse di valutare come hai trattato i papi mandandoli all’Inferno e, addirittura, dicendo che il Papa vivente è atteso all’Inferno!

Non posso negare di avere, forse, esagerato, ma nessuno può negare che siano successe tante cose che hanno negativamente colpito la gente comune. Il senso di giustizia che è dentro di me mi porta a dire cose avventate, ma non false.

Credo profondamente nella Chiesa, ma quella dei poveri. Gli Apostoli condividevano tutto e trascorrevano la vita diffondere il verbo del Cristo, erano santi ed erano poveri.

Tutto vero, ma bisogna vivere nel mondo, ed il mondo ha le sue regole. Capisco dove volete andare a parare: volete parlarmi dei Francescani e del loro messaggio di povertà in letizia, magari contrapponendoli ai Domenicani, rigidi difensori dell’ortodossia, ma anche dei privilegi della Chiesa.

Una semplificazione eccessiva. Quando ero vescovo di Vicenza il popolo minuto ed i maggiorenti di Padova e Vicenza insorsero contro gli abusi e le malversazioni degli inquisitori francescani; al popolo si unì anche il clero e le proteste arrivarono fino a Roma. Il Papa in persona decise di rimuovere dall’incarico i Francescani e poi, ricordati, che all’interno dei Francescani vi sono posizioni contrapposte, alcuni pensano che le ricchezze non solo non siano un male, ma un mezzo per diffondere il messaggio di Francesco, altri che la ricchezza sia un male assoluto.

Vi sono anche persone che riescono ad offrire risposte moderate e sagge, ad esempio frate Gosmario da Verona che mi offrì due sue composizioni quando diventai arcivescovo a Ravenna, una sulle virtù richieste ad un alto prelato, l’altra sul bene dell’anima. Due composizioni disomogenee e bislacche, ma non potevo deludere il buon Gosmario. Per ricompensarlo lo invitai a Ravenna, quale lettore nella chiesa di San Francesco.

Io ho vissuto a lungo a Verona, ma non ricordo di averlo incontrato. Eppure sono terziario francescano.

Non mi stupisco; probabilmente allora era in terra di Romagna.

Certo che siete un francescano ben singolare: assiduo frequentatore di donne, non disdegnate la ricchezza e ritenete disonorevole il lavorare.

Respingo questa insinuazione: come nella parabola dei talenti io ho sfruttato al Massimo i doni che Dio mi fece: l’intelligenza e la capacità di vedere il bello. E’ meglio un pessimo farmacista o un ottimo poeta?

Via, non siate così permaloso, era solo una battuta. Chiunque nel mondo cristiano conosce la vostra grandezza.

I miei rapporti con i Francescani, in ogni caso, sono sempre stati migliori rispetto a quelli con i Domenicani. Quando ci fu il famoso processo dei Templari avevo quail altri giudici un francescano ed un domenicano.

Il francescano concordò con l’assoluzione, il domenicano votò per la condanna e sospetto, anche se non ho mai avuto prove, che comunicasse immediatamente l’esito del processo al Papa, magari sollecitando una mia punizione.

I Francescani a Ravenna godono, in ogni caso di stima ed apprezzamento da parte della popolazione.

Il fatto, poi, che il grande Dante Alighieri sia terziario francescano ha grandemente contribuito al lustro dell’ordine.

Non siate troppo buono con me; i Ravennati sono rimasti colpiti dal fatto che il loro arcivescovo abbia fatto parte della commissione ristretta che al concilio di Vienne ha avuto l’incarico di normare i rapporti fra le diverse anime dell’ordine francescano.

Un incarico di grande prestigio, ottenuto, e questo sembra straordinario, dopo il processo dei Templari; per tutti questo ha significato che il Papa pensava aveste ragione anche se dovette condannarli.

A questo punto avrei l’ardire di farvi una domanda forse troppo personale: voi ritenete che vi sia un conflitto fra Domenicani e Francescani? E gli altri ordini che ruolo rivestono?

Caro Dante, ti risponderò con una metafora. Hai presente la grande croce che è nella volta della chiesa di Sant’Apollinare a Classe? La chiesa dei Camaldolesi per essere chiaro. La croce è d’oro, gemmata e all’incrocio dei due bracci vi è il Cristo, punto di equilibrio di ogni istanza terrena. Il braccio verticale rappresenta l’unione fra la terra ed il cielo e la teologia tomista, con la mirabile geometria dialettica che, prendendoci per mano, passo dopo passo, ci conduce al cielo ed il braccio orizzontale che sembra stringere in un abbraccio l’interaumanità. Il decorso orizzontale rappresenta l’annullarsi, in Cristo di tutte le differenze (sia ben chiaro, caro Dante, non presto fianco all’egalitarismo che accomuna tanti gruppi ereticali con tendenze sociali) mantenedo le distinzioni, ossia favorendo il confronto con uomini che sono tutti diversi, ma con pari dignità.

Accanto alla grande potenza intellettuale di Francesco e Domenico gli altri ordini sembrano passare in secondo piano, sono le gemme che adornano ed impreziosiscono la croce, ma non sono l’elemento portante. Al centro il Cristo, principio e fine di ogni cosa, come ebbe a dire Tertulliano: “nobis curiositate opus non est post Cristum”; dopo Cristo non vi è posto per ricerche e ansie intellettuali.

Del resto sei tu che fai affondare nel mare le navi di Ulisse che sfida i limiti posti da Dio agli uomini; “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, ma non può esservi nessuna conoscenza se non quella che proviene da Dio ed è da lui regolamentata.

E’ l’eterno dilemma fra libero arbitrio e libertà; “libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Qui anche il suicidio viene giustificato. Mi sembra tu abbia esagerato caro Dante.

Mi scuso se non sono stato sufficientemente chiaro: Catone Uticense non si suicida, a lui è cara la moglie, per lui la vita è importante, ma proprio per questo rinunciare alla vita significa riaffermare il valore della libertà; non una rinuncia, ma un supremo atto offrendo in sacrificio ciò che si ha di più prezioso..

Se il libero arbitrio significa fare ciò che più ci piace senza alcun riguardo per gli altri, la libertà significa scegliere di conformarsi al volere divino. Per questo Ulisse muore, perché la sua non è libertà, non essendo disciplinata dall’accettazione dei limiti che Dio ha posto all’uomo, ma libero arbitrio. Al contrario Catone riafferma, con il suo atto, il valore supremo della libertà.

Gesù ci e si chiede: “che cosa è la libertà?” E poi ci dice: “la verità vi renderà liberi”. Quindi la libertà, ente ideale, diventa un percorso ed una disciplina per l’umanità, percorso che deve avvenire alla luce di Gesù. Quante volte mi sono chiesto se essere liberi volesse dire conformarsi pedissequamente al volere del Papa o, piuttosto seguire la voce interiore che ci spinge a compiere questo o quell’atto? In fin dei conti la prassi della libertà significa scegliere sempre e solo ciò che più si conforma alla vita del Cristo.

Parole che mi colpiscono profondamente. Ma voi declinate in altro modo, oltre che nel famoso processo ai Templari, la prassi della libertà?

Dante, Dante, voi mi ricordate il loico diavoletto… Io non devo solo vivere sull’esempio del Cristo, ma devo, essendo pastore del mio gregge, fornire alla gente lo strumento per giungere alla salvezza; devo fare in modo che la gente, potendo scegliere, scelga l’esempio del Cristo. Allora sarà libera.

Non per esaltare la mia opera, ma ho incominciato a visitare con continuità le parrocchie, ho curato l’istruzione del clero e ho obbligato i sacerdoti e i diaconi a conoscere il latino, almeno quello necessario a leggere le scritture e, al contrario, ho preteso che predicassero in volgare, in modo che tutti potessero capire. Ho preso l’idea da voi poeti; ho capito che si possono esprimere grandi sentimenti anche in lingua volgare. Del resto la costruzione teologica della Commedia, già difficile da comprendere in volgare, sarebbe risultata incomprensibile per troppi se l’opera fosse stata scritta in latino.

Comunque, Dante, ora vi congedo. Sono stanco. Il caldo mi debilita.

Vi aspetto al ritorno da Venezia.