Secondo Incontro

La mattina seguente, dopo le funzioni mattutine.

Ancora nello studio di Rinaldo.

Entrate pure, caro Dante.

Prima di continuare il mio racconto, voglio dirvi che con grande piacere vi ho visto essere partecipe alla Santa Messa e alle lodi indossando il saio di terziario francescano.

So che avete composto splendidi versi relativi a San Francesco, colui che il popolo chiama il poverello di Assisi.

Scusate se vi interrompo, Eccellenza, non fu Francesco il poverello di Assisi, ma il principe della povertà, colui che fece di essa l’elemento fondante, assieme alla carità, della prassi di ogni buon cristiano. Almeno come tale io lo intesi da quando, ancora fanciullo, presso la scuola dei frati in Santa Maria Novella ove ebbi i primi rudimenti di teologia e filosofia. Per un certo periodi pensai di prendere gli Ordini, poi le lusinghe del secolo furono troppo forti.

Vedete che da un male può derivare un bene? I disegni di Dio sono a noi incomprensibili; solo guardandoci indietro, talora, li comprendiamo. Avrebbe mai avuto un frate francescano il tempo e l’ardire di scrivere le opere come voi avete fatto? Mi viene da sorridere a pensare cosa avrebbe detto un Superiore ottuso davanti al “loico diavoletto” o allo scomunicato Manfredi sulla via della salvezza eterna… Come vedete ho letto e meditato la Commedia, non ho trovato tutti i canti, ma uno qua e uno là li ho trovati..

Ma torniamo a noi. Parlavo dei frati templari e del loro processo. Bene, mi rifiutai di utilizzare qualsiasi metodo di coercizione contro quei vecchi; non solo rifiutai di utilizzare la tortura per estorcere confessioni, ma mi rifiutai di prendere in considerazione le testimonianze estorte con la tortura o con la paura della tortura. Mi sembrava ignobile e sproporzionato l’utilizzo della tortura in ogni sua forma contro i monaci guerrieri che erano stati il terrore degli infedeli, che avevano testimoniato con il loro valore la propria fede e i cui morti coprirono con il loro corpo morto il luogo che, vivi, avevano difeso. Non si seppe mai di cavalieri templari che si arrendessero e, nella malaugurata fossero stati fatti prigionieri, sarebbero stati immediatamente uccisi dagli infedeli che troppo li temevano. A questo punto mi vergognai anche di incarcerarli e concessi a loro il conforto degli arresti domiciliari; dove mai sarebbero potuti fuggire con i mastini di Clemente e Filippo alle calcagna?

Per essere chiaro, io non ho nulla contro l’utilizzo della tortura sui malfattori quando essa serva ad acquisire ulteriori informazioni su fatti dei quali vi sia certezza; anzi, spesso in passato la utilizzai con eccellenti risultati, ma qui si trattava di utilizzarla per costruire l’impianto accusatorio. Si utilizzava in maniera sbagliata un potente strumento di coercizione che, non dimenticarlo, lega in maniera indissolubile il giudice e l’accusato. Infatti è il giudice che finisce per dipendere dall’accusato e più sono cruente le torture più il legame fra i due diventa solido: il malfattore deve resistere a professare la propria innocenza e cercare di convincere il giudice; quest’ultimo deve decidere fino a qual punto utilizzare la tortura per ottenere la confessione. Gli abusi sono stati e sono tanti, ma la tortura deve fare parte del bagaglio di ogni giudice. Nel caso dei Templari sarebbe stato un sovvertimento dei principi legali perché le accuse erano assurde e gli imputati estremamente fragili.

Cosa fecero gli altri giudici in Italia? A malincuore alcuni, i più con zelo, ubbidirono agli ordini del Papa francese e condannarono i Templari. Gli uni e gli altri sapevano, fin dal primo momento, che stavano condannando degli innocenti ma non si posero il problema. Io non volli ripetere lo sbaglio che feci tanti anni prima, non facendo nulla per impedire le trame ai tuoi danni. Sapevo che questa scelta mi avrebbe esposto ad accuse e ritorsioni, ma continuai per la mia strada.

L’assoluzione dei Templari fece rumore, ma questo penso tu lo sappia già, non solo in Italia, ma in tutto il mondo cristiano. I governanti che erano contrari trassero forza nella loro scelta di non processare i Templari, quanti erano indecisi scelsero una qualche forma di compromesso, ma nel complesso l’Europa cristiana, se si esclude Francia e Italia, scelse di non essere troppo severa con i Templari, anche se nessuno, almeno che io sappia, ebbe il coraggio di assolverli in pubblico processo.

Il re di Francia comprese immediatamente le potenziali conseguenze dell’assoluzione: se altri giudici avessero seguito il mio esempio il castello di accuse avrebbe potuto crollare, con conseguenze imprevedibili. Allora Filippo fece pressioni su Clemente V, uomo che sapeva la verità su tutta la vicenda, ma che era debole e cedette ai voleri del re.

Il Papa, allora, non esitò a mostrare la sua irritazione accusandomi di essere stato superficiale e non diligente nel processo imponendomi di ripeterlo, ma mi rifiutai. 

Nulla nel mio processo era stato trascurato; le accuse erano state vagliate e si erano dissolte come neve al sole, solo la tortura avrebbe potuto offrire a loro puntello. Niente tortura, niente accuse provate. Il Papa, e questo bisogna riconoscerglielo, fu coerente nell’errore: rifiutandomi io di rinnovare il processo, fece arrestare i Templari da me assolti e mandati liberi, li fece processare in Toscana ove ecclesiastici più ligi ai desiderata papali, utilizzati ad libitum i mezzi di tortura, ebbero piena confessione di tutti i crimini ascritti.

Scusate se interrompo il vostro parlare, eccellenza, ma mi stavo chiedendo cosa avrei potuto confessare io sotto tortura davanti alle accuse postemi. Penso che avrei confessato qualsiasi cosa. Ho paura del dolore.

Ciò dimostra che siete una brava persona: le brave persone sono deboli, temono il dolore fisico; i malvagi, invece, al dolore fisico sono avvezzi e, quindi resistono di più. La tortura finisce per danneggiare il debole innocente e favorire il malvagio robusto.

Questa è la mia opinione ma in casi selezionati perso che la tortura sia ancora da applicare senza troppi patemi d’animo.

Se mi permettete, Eccellenza, a mio modesto avviso la tortura finisce per trasformare il colpevole anche del più atroce reato in vittima e il corretto giudice in carnefice; la gente, spesso, non crede a cose confessate sotto tortura e finisce per giustificare anche le colpe più atroci ed il reo diventa eroe nel pensiero popolare.

In quello che dici vi è del vero ma, concedimelo, alcuni tratti di corda possono sciogliere molte lingue e fornire elementi di ulteriore conferma a ciò che già sappiamo.

Certo, usare la tortura contro un branco di vecchi era assurdo ed indegno e, soprattutto, le accuse erano così assurde da non meritare considerazione.

Se avessimo utilizzato le confessioni estorte con la tortura avremmo dimostrato l’indimostrabile e rovesciato il processo logico che vuole prima la colpa, poi l’esame delle prove, poi l’individuazione del colpevole, poi la tortura per avere completa confessione, senza che rimangano elementi non chiari. Rovesciata la sequenza avevamo, in maniera apodittica i colpevoli che erano solamente degli innocenti sfortunati.

Se ben comprendo la vostra fu una scelta dettata dal rovesciamento dei principi logici, ma basta questo a giustificare un atto così clamoroso?

Dante, Dante, siete troppo intelligente per essere ingannato, Invero vi ho detto solo una mezza

verità: volevo vendicare l’atto di disprezzo che gli scherani del re fecero a Bonifacio VIII, il Papa, l’uomo al quale io dovevo solo gratitudine e per il quale provavo e provo sconfinata ammirazione.

Filippo il Bello, arrogante, megalomane, arrivista. Un piccolo uomo con uno sconfinato egocentrismo, un uomo che non ha cuore né alcun ritegno e il suo piccolo papa, un ragazzotto francese innalzato ad un soglio del quale non è degno.

Eccellenza, pochi minuti fa avevate espresso valutazioni molto più moderate….

E’ vero, ma penso di potermi fidare di te e così ho deciso di dare libero sfogo al peso che affonda il mio cuore. Non riesco a liberarmi dal rancore contro Filippo e Clemente. Ho pregato tanto perché ogni mia valutazione fosse dettata dal solo senso di giustizia, ma il demone della vendetta è dentro di me. Non ho mai avuto il minimo dubbio di avere gestito bene il processo a Templari, ma dalla loro assoluzione non ricavai il solito sollievo che mi ha sempre accompagnato tutte le volte che ho terminato un processo assolvendo l’imputato, piuttosto sentii l’ebrezza che si prova dopo avere sconfitto un avversario che si odia profondamente. La vendetta, non la giustizia mi diedero sollievo e questo è un peccato. E dopo, quando Clemente mi accusò di non essere stato sollecito ed attento nell’esaminare le prove processuali, godetti del mio trionfo. Mi rifiutai di ripetere il processo ma la mia superbia fu per i Templari rovina. Infatti, come prima ti dissi, usciti dalla mia giurisdizione vennero immediatamente arrestati e, divisi in due gruppi, processati in Toscana, mi sembra dall’arcivescovo di Firenze e dal vescovo di Lucca, ma potrei sbagliarmi, ormai sono vecchio e la mia memoria vacilla. Ovviamente, utilizzata la tortura si ebbe ampia e completa confessione di tutte le possibili colpe ed i Templari vennero condannati.

La mia pervicacia fu causa della loro condanna. E’ come se li avessi condannati io. Mi sarebbe costato poco ubbidire al Papa, ripetere il processo magari mettendo in maggior luce alcune punti che erano meno evidenti… Lo stesso Papa mi aveva offerto una via di uscita che avrebbe potuto essere soddisfacente per me, per i templari processati, per il Papa stesso. Una seconda assoluzione meglio motivata avrebbe potuto essere anche elemento di riflessione per tanti che ancora dovevano processare altri Templari. Per orgoglio ho rovinato tutto. Un Papa messo alle strette da un arcivescovo non può che reagire come fece Clemente e, a dire il ve.ro , fu anche moderato nei miei confronti; solamente pagai la mia disubbidienza con un progressivo isolamento da parte degli altri esponenti del clero; del resto il potere della Chiesa è in progressiva decadenza a fronte del potere dei nuovi signori. Mi sono isolato ad Argenta per non avere nulla da spartire con i Da Polenta.

Sono stanco, vecchio, malato.

Adesso vi congedo, caro Dante. Venite ancora a trovarmi.

Mi accomiato con il cuore greve; spero di tornare fra poco tempo; Guido da Polenta vuole che faccia parte della delegazione che deve andare a Venezia sperando che si giunga a qualche soluzione; sono troppi anni che va avanti questa guerra strisciante e sarebbe una catastrofe se l’intera Romagna si trovasse in guerra, ogni città contro l’altra e, dentro la città, fazioni nemiche…

Verrò a rendenrvi omaggio nel viaggio di andata….                 

Benedicetemi Eccellenza, ve lo chiedo come eccezionale favore e segno della Vostra benevolenza.

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